L’emergenza sanitaria globale che stiamo vivendo ha sollevato negli ultimi mesi notevoli difficoltà e problematiche che spesso coinvolgono i minori e che con il passare del tempo rischiano di minare il benessere sociale, relazionale, fisico e psicologico di bambini e ragazzi.
E’ noto che questo periodo di crisi sta evidenziando molte differenze tra i minori a seconda della regione in cui vivono o del contesto familiare in cui sono inseriti.
Tali divergenze rischiano di aumentare in alcune particolari realtà come le comunità rom. In tali ambiti è necessario non trascurare la dimensione dell’inclusione, ponendo al centro il benessere dei più piccoli.
Presentiamo l’esperienza di Serena Barbieri, un’educatrice salesiana che dal 1999 segue a Livorno dodici famiglie rom provenienti dalla Croazia, dalla Bosnia ed Erzegovina, occupandosi, in particolare, di 40 minori, che ci spiega l’impatto che la pandemia ha avuto sulla comunità.
I minori che segui frequentano tutti la scuola? Come si sono organizzati con le lezioni online?
Si frequentano tutti. La frequenza scolastica è più che buona, certo non è sempre continua, ma abbiamo fatto passi da gigante. Oggi solo tre minori sono in dispersione scolastica e due hanno abbandonato gli studi senza conseguire la licenza media, ma sono ancora in obbligo formativo e quindi abbiamo qualche altra carta da giocare.
Dico abbiamo, perché i minori inseriti nei percorsi educativi sono accompagnati da un’equipe di educatori, con i quali è stato possibile costruire un percorso di “Tutoring della didattica a distanza” e continuare a sostenere i minori nel percorso scolastico. Ci siamo adoperati per fornire loro device digitali, compilando gli appositi moduli ministeriali, e abbiamo chiesto ai genitori di attivare connessioni wifi laddove possibile. Ecco diciamo che insieme, con l’aiuto di tutti, (ragazzi, genitori, educatori, docenti) siamo riusciti in poco tempo ad organizzarci abbastanza bene. I minori che frequentano le scuole superiori sono stati i migliori, hanno scaricato le varie applicazioni e sono entrati in piattaforma, da subito e in completa autonomia.
Alcuni ragazzi frequentano centri per i minori che in questo periodo sono chiusi? Cosa rischiano di perdere?
Si, i ragazzi frequentano l’oratorio salesiano della città, che è per loro la casa in cui sono cresciuti. Sicuramente, soprattutto per alcuni ragazzi, perdere da un giorno all’altro la connessione con le relazioni più significative instaurate fuori dal proprio contesto familiare, rappresenta restare soli. Perdere l’opportunità di vivere la coesione e la protezione sociale, di vivere uno spazio “altro” che dà la possibilità di riprovarci, di ricominciare dalle relazioni, che il ragazzo sceglie liberamente di abitare può significare perdere l’appartenenza a quella “terra di mezzo” che si costruisce insieme.
Pensi che l’emergenza che stiamo vivendo possa aumentare il rischio di isolamento e di povertà educativa per i bambini rom?
L’emergenza che stiamo vivendo può contribuire ad aumentare la povertà educativa e l’isolamento di quei bambini rom che non sono ancora seguiti e inseriti in percorsi educativi validi. Se però guardo il piccolo mondo che ho sotto gli occhi, direi di no. La nostra è una realtà a parte. Questa emergenza ci sta regalando una coesione e un interesse reciproco mai vista prima. I genitori chiedono aiuto per sostenere i loro figli nella lezione, abbiamo mamme analfabete che fanno i compiti insieme ai loro bambini di prima elementare, noi educatori ci sentiamo “chiamati” a contattare tutte le famiglie, soprattutto quelle non inserite nei percorsi, per capire come stanno i bambini e che necessità possono avere. Direi che l’emergenza sta risvegliando in noi un modo più ricco di fare educazione, che non attraversa i due mondi ma li fa vivere in un unico spazio, virtuale ma reale: quello dell’attenzione.
Quali effetti può avere la crisi su questi ragazzi? La mancanza di lavoro, la chiusura delle scuole può far si che cadano in contesti di violenza e sfruttamento?
Gli effetti sono spesso la conseguenza di come viene vissuta una certa situazione. I ragazzi vivono in contesti familiari molto diversi l’uno dall’altro, pur essendo parenti fra loro. Ogni famiglia ha reagito alla crisi mettendo in campo strategie diverse ma unendosi in un mutuo aiuto.
Si potrebbe rafforzare l’isolamento, ma questa regressione penso che potrebbe avvenire in contesti che non hanno ben sviluppato un’appartenenza al mondo esterno attraverso le relazioni scolastiche, lo sport, le amicizie tra pari.
Un altro effetto potrebbe essere la depressione, quindi la chiusura non nel proprio gruppo ma in se stessi, che prende la forma della dipendenza da videogioco e da televisione. Questo è un effetto che si vede molto spesso nei ragazzi che vivono contesti familiari complessi e devianti. Per questi ragazzi l’oratorio, lo sport, la scuola sono luoghi dove stare in serenità, lontano dalla famiglia e certamente questa emergenza non li aiuta.
Per altri ancora, coloro che vivono la condizione più dura della strada, la crisi produce l’interesse a coltivare la devianza e ad apprendere abitudini sbagliate che portano a dipendenze da alcool, droga e gioco d’azzardo.
Sono state attuate politiche a favore dei minori che segui al fine di supportarli in questa particolare situazione?
Purtroppo no. Non c’è stato il minimo interesse a riguardo.
Diversi timori e preoccupazioni si respirano all’interno della comunità, spiega infine Serena, anche i bambini hanno espresso il timore di non poter vivere l’esperienza dell’Estate Ragazzi e dei centri estivi cittadini, fondamentali per la loro socializzazione.
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