Minori stranieri: la sfida dell’inclusione ripartendo dalla centralità della scuola e della comunità educante

In Italia vivono oltre un milione di minori di origine straniera, ossia quasi l’11% dei minorenni residenti nel nostro Paese.

Si tratta di bambini e ragazzi che frequentano la stessa scuola dei loro coetanei italiani, comunicano nella stessa lingua, condividono i medesimi sogni, speranze e timori, eppure, in base alla legge, non possono avere la cittadinanza italiana. È la situazione in cui si trovano i bambini di prima generazione, arrivati nel nostro Paese solo dopo la nascita, quelli di seconda generazione, nati sul territorio italiano da genitori stranieri, nonché i minori stranieri non accompagnati, giunti in Italia senza i propri genitori.

Negli ultimi anni, benché si sia verificato un generale calo della natalità, il numero di bambini e ragazzi senza cittadinanza italiana è cresciuto (+15,6% tra il 2012 e il 2018); tanto che rispetto al 2012, oggi in Italia si trovano oltre 100mila minori stranieri in più.

Questi sono i primi dati presentati nel nuovo ReportLa sfida dell’inclusione. I minori con cittadinanza non italiana e il ruolo di scuola e comunità educante nel promuovere integrazione”, a cura di Con i Bambini e Fondazione Openpolis, che analizza la presenza di minori con cittadinanza non italiana nel nostro Paese e i principali ostacoli all’integrazione, soprattutto nel percorso scolastico.

Per quanto riguarda la presenza sul suolo italiano, il Report evidenzia che la concentrazione più alta di minori con cittadinanza non italiana si trova soprattutto nei territori del centro-nord e nelle città. In particolare, le regioni dove si registra la percentuale più elevata di minori stranieri residenti sono l’Emilia-Romagna e la Lombardia con oltre il 16%, a seguire la Toscana (14,5%), il Piemonte, il Veneto e la Liguria (13,7%). Al contrario, le regioni in cui tale presenza è più bassa sono quelle del mezzogiorno: agli ultimi posti in classifica si collocano Sicilia (4,4%), Campania (4%), Puglia (3,9%) e Sardegna (3,3%). Invece, le province con le quote maggiori di minori stranieri sono Prato, con il 28,8% e Piacenza, con il 22,1%.

Tra gli elementi che, senza dubbio, rappresentano un ostacolo all’inclusione dei minori stranieri vi è la condizione familiare, che rappresenta un aspetto centrale della povertà educativa. Dal Report emerge che tra le famiglie straniere con figli, l’incidenza della povertà assoluta è 3 volte quella media e quasi 5 volte quella dei nuclei di soli italiani: il 31,2% delle famiglie con minori composte solo da stranieri si trovano in povertà assoluta, contro una media del 9,7% (dati 2019).

Un altro importante fattore di esclusione educativa e sociale evidenziato all’interno del Rapporto è l’elevato tasso di abbandono scolastico che si riscontra tra i ragazzi di origine straniera. In merito a questo, i dati sono preoccupanti e segnalano l’esistenza di un forte divario tra italiani e stranieri: il 36,5% dei giovani tra i 18 e i 24 anni senza cittadinanza italiana ha interrotto precocemente la scuola, a fronte dell’11,3% dei giovani con cittadinanza italiana, con un divario tra i due di 25,2 punti percentuali.

Quest’ultimo è un aspetto particolarmente centrale, che incide sulla possibilità di integrazione, non solo da adulti, essendo il mondo del lavoro alla ricerca di competenze sempre più specializzate, ma anche perché la scuola rappresenta il luogo naturale dove si apprende la lingua e soprattutto dove si sviluppa una propria rete di socialità e di amicizie, esigenza ancora più avvertita da parte di chi proviene da Paesi lontani.

Tuttavia, oltre agli abbandoni precoci, tra i ragazzi senza cittadinanza italiana si segnala anche una maggior diffusione di ritardi scolastici e bassi livelli di apprendimento.

Se tra coloro che hanno la cittadinanza italiana il ritardo scolastico riguarda, in media, un alunno su 10 (il 9,6%), per gli studenti di origine straniera il dato medio è 3 volte superiore, ossia poco meno di uno su 3 presenta questa problematica (30,7%). In particolare, nelle scuole superiori oltre la metà degli alunni stranieri ha almeno un anno di ritardo.

Allo stesso tempo, tra gli studenti con cittadinanza non italiana si riscontrano livelli di apprendimento inferiori rispetto ai coetanei italiani, lungo tutto il percorso di studio, con grandi differenze tra gli alunni di prima e di seconda generazione. L’unica eccezione è data dall’apprendimento della lingua inglese, dove gli studenti di prima e seconda generazione tendono a ottenere punteggi mediamente più alti rispetto agli studenti italiani.

Tutte queste difficoltà evidenziate influenzano il percorso successivo dei ragazzi stranieri, a partire dall’indirizzo delle scuole superiori scelto. Infatti, i dati mostrano che l’istruzione superiore risulta ancora molto segmentata in base alla cittadinanza: la quota di alunni stranieri che vanno al liceo è la metà rispetto ai coetanei italiani e tra gli alunni con cittadinanza extra-Ue solo il 24,4% frequenta il liceo, contro il 48,8% degli italiani.

«Queste tendenze, se non arginate, hanno tutto il potenziale per produrre in futuro emarginazione ed esclusione sociale. – si legge nel Rapporto – Per questa ragione la sfida dell’inclusione è cruciale, e può essere vinta solo restituendo centralità alla scuola e alle comunità educanti del nostro paese».

È fondamentale, allora, ripartire proprio da questo, ricordando che scuola e comunità educante rappresentano il primo motore di integrazione e inclusione sociale, poiché solo garantendo a tutti un’istruzione di qualità, a prescindere dall’origine, dalla cittadinanza o dalla condizione sociale di partenza, si pongono i presupposti per una società con minori disuguaglianze e rischio di esclusione.

È possibile scaricare il Report completo qui.

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