Maxi-risse tra giovanissimi: cause e soluzioni prospettabili nell’intervista al Prof. Alessandro Ricci

Nei giorni passati abbiamo appreso la notizia che un gruppo numeroso di ragazzi si è riunito a Roma e in altre città italiane per dare vita ad una maxi-rissa. Per comprendere le possibili motivazioni che possono spingere i ragazzi a simili azioni e se si possa parlare di un fenomeno isolato oppure destinato a ripetersi abbiamo rivolto alcune domande al Prof. Alessandro RicciDocente presso l’Istituto di Psicologia della Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana di Roma–  che commenta i recenti fatti di cronaca come:

“Un dilagante senso di vuoto e disagio che accompagna la quotidianità di questi ragazzi. Credo che questo sia il punto da cui partire per cercare significati ai comportamenti violenti avvenuti a Roma e Venezia. Queste, potrebbero essere manifestazioni di un malessere nascosto e profondo che contiene aspetti diversi e inquietanti, espressione del disagio collettivo che tutti noi viviamo da diverso tempo. Credo che la mancanza di prospettiva, l’assenza di un futuro da progettare e l’incapacità di mantenere viva la speranza non appartengano solo a questo tempo della pandemia” .

Prosegue ancora il Professore “Stiamo dentro un tessuto sociale, culturale, educativo che negli ultimi anni non contiene prospettiva e speranza ma ti inchioda al presente con un orizzonte corto, quello ad esempio del mondo virtuale. Difficilissimo per i ragazzi, non illudersi e non essere affascinati da quella facilissima visibilità che offrono le nuove tecnologie e la massiccia influenza dei social. Attraversare la società del narcisismo e dell’individualismo non è per nulla semplice e di fronte al dolore i ragazzi appaiono sempre di più impreparati e fragili. Non meravigliamoci allora della loro risposta violenta.”

Si tratta comunque di ragazzi per la maggior parte al di sotto dei 14 anni, che proprio per la loro giovanissima età, probabilmente non andranno incontro a nessuna sanzione o conseguenza legale. Abbiamo chiesto al Prof. Ricci se questa sorta di “impunità” può rafforzare il senso di invincibilità tipico dell’età preadolescenziale e adolescenziale e se può portare a conseguenze più gravi:

“Parlare di preadolescenza e adolescenza oggi è sempre più complesso perché è sempre più complessa la società in cui viviamo. Le generazioni si susseguono rapidamente. Abbiamo accanto a noi una generazione di ragazzi (“Generazione Z”, ovvero la generazione “Technosexual”) che vive di post e di webcam, frequenta le più famose communities online e non si perde un video su YouTube e di Tic Toc. Partecipa alle chat presentandosi con un nickname, un “soprannome virtuale”, che genera una identità sostitutiva.  La generazione Z, che sceglie la tecnologia per instaurare e far vivere le proprie relazioni, attraverso intimità digitali, è anche una generazione sempre più precoce nel macinare esperienze che non sono adeguate alla loro età.”

Appare comunque fondamentale la presenza di adulti in grado di spiegare il motivo per cui certi atti vanno condannati “Certamente gli adolescenti sono, per natura, portati a sfidare i loro limiti ma noi, come adulti, dobbiamo aiutarli dandogli dei limiti e un contenimento e quando superano questo limite, fargli sperimentare le conseguenze dello sconfinamento. Però il rischio maggiore è dare il messaggio che a qualsiasi loro azione deviante, non ci sia mai un tornaconto negativo che li faccia riflettere sul loro comportamento e gli dia la possibilità di rimediare al male fatto.”

Ma ci siamo chiesti anche se si possono individuare ulteriori “responsabili” oltre agli stessi ragazzi:

“In fondo, i nuovi giovani sono “tutti figli nostri”. Li abbiamo fatti crescere in contesti sociali dove è prevalso il mito del tutto e subito, della felicità ad ogni costo, del successo e della popolarità. Li abbiamo alimentati con l’idea che non si può fallire ma nemmeno inciampare. Li abbiamo sostenuti a dismisura con apprezzamenti continui dando anche alle azioni negative il titolo di “bravata” o “scherzo”. Ne abbiamo fatto una generazione che fatica a reggere la frustrazione e a sopportare il “no” o il “non adesso”. Questi ragazzi sono sempre alla ricerca di “sensazioni forti, estreme ed incredibili. Tale processo è definibile come “sensation-seeking” (ricerca delle sensazioni) da intendersi come ricerca di sensazioni intense, inedite, complesse e variegate, correlate alla disponibilità a correre rischi a livello fisico, sociale, legale e finanziario. Solitamente è connotato da eccitazione fisica e psicologica e in certi casi è associato anche a forme di divertimenti estremi: balconing, binge drinking, choking game, eyeballing, surfing suicide, selfie, ecc.”.

Chiudiamo l’intervista cercando di capire cosa può fare la comunità educante per aiutare i ragazzi a superare l’evidente disagio che muove queste azioni:

Fatti come questi ci chiedono risposte intelligenti o quanto meno di senso. È urgente dare ai nuovi giovani significati adeguati alla vita che li attende, valori e spazi rinnovati alla scuola, alla società, alle relazioni. Dobbiamo rimettere al centro dell’agenda politica il tema dell’educazione in vista della promozione del benessere relazionale. La questione non è dunque tanto -cosa succede?-, ma piuttosto -cosa possiamo/dobbiamo fare?-“.

A conclusione il Prof. Ricci spiega che “I giovani ci chiedono invece di essere adulti nuovi, capaci di camminare con loro e di condividere la ricerca e l’esperienza del senso e della speranza. La comunità educante deve, sempre più, promuovere e lavorare per far crescere le abilità sociali (capacità decisionale, soluzione di problemi, creatività, senso critico, comunicazione efficace, abilità relazionali, consapevolezza di sé, empatia, gestione delle emozioni e gestione dello stress) e permettere ai ragazzi di crescere più liberi, con migliori fattori di protezione e minor attrazione verso le situazioni di rischio che, proprio in adolescenza, possono incontrare.”

Una dura sfida attende, quindi, l’intera comunità educante chiamata ad attivarsi per entrare in contatto e capire il mondo dei nostri ragazzi: gli adulti e gli educatori/animatori di riferimento, non devono essere spettatori passivi ma aiutare i ragazzi a conoscersi e imparare a gestire maggiormente sia le tecnologie che il bisogno di trasgredire e di cercare se stessi attraverso forti emozioni ed esperienze.

Prof. Alessandro Ricci

 

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