La didattica a distanza, dopo un anno, nella valutazione degli italiani: l’indagine dell’Istituto Demopolis per l’impresa sociale Con i Bambini

Ad un anno dall’esordio della didattica a distanza, un’indagine, dal titolo “Scuola a distanza: la DAD un anno dopo, secondo gli italiani. Opinioni e vissuti dei genitori con figli minori (5-17 anni) e degli insegnanti italiani dopo 12 mesi di emergenza Covid”, ha analizzato il funzionamento della didattica a distanza (DAD) nella percezione e nel giudizio degli italiani, con un focus specifico sui genitori con figli in età scolare (5-17 anni), insegnanti ed operatori del Terzo Settore.

L’indagine, condotta dal 23 al 26 marzo 2021, su un campione demoscopico stratificato di 2.004 intervistati, è stata realizzata dall’Istituto Demopolis per l’impresa sociale Con i Bambini, nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.

Secondo quanto emerge dai primi dati del sondaggio, ad un anno dalla sua introduzione, appena 3 italiani su 10 giudicano positivamente l’esperienza della didattica a distanza. Il dato raggiunge il 34% tra i genitori di figli in età scolare e il 48% tra gli insegnanti.

Nonostante i genitori italiani intervistati riconoscano che la DAD si sia strutturata meglio dopo il primo periodo della fase emergenziale, acquisendo un’organizzazione migliore (67%) ed abbia determinato una maggiore autonomia nell’uso delle tecnologie da parte dei ragazzi (57%), si evidenzia, tuttavia, il persistere di un problema anzitutto sociale che pesa, più di altri, sulla didattica a distanza: il 51% dei genitori italiani ritiene che, a distanza di un anno, la DAD non abbia ancora garantito un accesso inclusivo ed adeguato a tutti gli studenti. Anche la durata delle sessioni non soddisfa la maggioranza dei genitori: secondo la metà di loro, l’orario scolastico completo, ad oggi, è un obiettivo irrealizzato.

Sempre secondo quanto rilevato dai genitori intervistati, tra le principali criticità, rimaste irrisolte, nella DAD, si segnalano la distrazione degli studenti durante le lezioni (73%), la sottovalutazione della situazione emotiva dei ragazzi (63%), la scarsa dotazione tecnologica delle case (51%), la poca padronanza tecnica da parte degli insegnanti (48%) e una metodologia didattica non adeguata (44%).

Oltre a queste problematiche, il 39% dei genitori lamenta anche un carico di lavoro eccessivo richiesto alle famiglie (il dato cresce al 61% tra chi ha i figli che frequentano le scuole primarie) e il 31% dei genitori ritiene che l’orario scolastico sia eccessivamente ridotto (tra gli insegnanti solo il 15% è concorde sull’argomento).

In base ai risultati del sondaggio, si sottolinea che, ad un anno di distanza, nonostante i mesi di riorganizzazione ed i fondi messi a disposizione per i dispositivi, il 16% di ragazzi si collega ancora da smartphone per seguire le lezioni e il 41% dei genitori dichiara di aver faticato a supportare i figli in DAD a causa di insufficienti connessioni o dispositivi in casa. Inoltre, 3 su 10 riferiscono di una difficoltà nel conciliare i tempi lavorativi con le dinamiche della didattica a distanza e circa un quinto confessa di non essere stato in grado di sostenere, personalmente, i figli nell’attività didattica.

In merito agli aspetti maggiormente critici e negativi nella DAD, che gravano su bambini e ragazzi, i genitori citano innanzitutto l’assenza di relazioni con i compagni (secondo l’83%) e a seguire la fatica nel seguire le lezioni da remoto (per il 65%), la tendenza dei figli all’isolamento e all’abbandono della vita sociale (per il 61%); la riduzione degli stimoli esterni alla scuola (per il 55%), la regressione degli apprendimenti (per il 41%).

A partire dalla comprensione ormai diffusa del forte impatto emotivo, affettivo, relazionale e sociale che bambini e ragazzi stanno scontando a causa del difficile periodo d’emergenza che ci troviamo ad affrontare, nonché dell’importanza di recuperare queste dimensioni cruciali, riscuote ampio successo nella valutazione degli italiani l’ipotesi di organizzare attività estive nelle scuole per bambini e ragazzi, investendo nell’educazione.

Il 70% degli italiani intervistati, infatti, si dichiara favorevole alla proposta del Ministro dell’Istruzione Bianchi di tenere aperte le scuole fino alla fine del mese di luglio, come spazi aperti ai territori, per programmare attività educative gratuite, di laboratorio e di socializzazione anche all’esterno (teatro, musica, sport, lingue, visite, ecc.), destinate a bambini e ragazzi, con il coinvolgimento di educatori ed operatori specializzati di associazioni ed enti del Terzo Settore. L’idea desta più consenso tra operatori del Terzo Settore e genitori (81% e 60%) rispetto agli insegnanti (45%), nonché al Nord (75%) rispetto che al Sud (61%).

In particolare, secondo gli italiani, si dovrebbe cercare di restituire ai minori l’accesso alla pratica sportiva (58%), progettare recuperi curriculari (54%), promuovere attività ludiche (53%) e progressi nelle lingue straniere (51%), favorire la riscoperta delle città e della natura.

La proposta prevede di aprire le scuole alla comunità ed ai territori, nella consapevolezza che la scuola non può essere l’unica istituzione responsabile della crescita e dello sviluppo dei ragazzi. Questa, peraltro, è una nuova consapevolezza che si è andata consolidando nell’opinione pubblica solo di recente, con una crescita progressiva e costante negli ultimi anni: se nel novembre 2019, la convinzione di una responsabilità collettiva della crescita dei minori interessava il 46% degli italiani, già a novembre 2020 il dato era aumentato al 67% e oggi si dichiarava convinto che la responsabilità della crescita dei minori sia di tutta la comunità ben il 71% degli italiani.

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