L’Italia è uno dei Paesi europei dove i giovani raggiungono più tardi l’autonomia dalla propria famiglia di origine.
In un approfondimento dedicato al tema, realizzato dall’Osservatorio #Conibambini, si evidenzia che in Italia, l’età media stimata in cui i giovani lasciano il nucleo familiare è di 30,2 anni nel 2020 (dati Eurostat).
A raggiungere la soglia dei 30 anni, sono solo altri 4 Paesi dell’Unione europea: Croazia (32,4 anni), Slovacchia (30,9), Malta (30,2 al pari dell’Italia) e Portogallo (30).
L’Italia si colloca così al terzo posto in Ue per tardività dell’uscita dal nucleo genitoriale; preceduta solo dalla Croazia che occupa la prima posizione e dalla Slovacchia.
La media europea è invece di 26,4 anni, con Paesi che si discostano notevolmente dalla tendenza riscontrata in Italia, tra cui: la Svezia dove l’età media di uscita di casa è di 17,5 anni, Lussemburgo 19,8 e Danimarca 21,2.
I giovani italiani, quindi, lasciano più tardi la casa dei genitori per andare a vivere da soli rispetto alla media Ue e, inoltre, l’età media di uscita di casa in Italia risulta molto alta se paragonata agli altri maggiori Paesi Ue: ad esempio in Francia e in Germania l’età stimata in cui i giovani smettono di vivere con i genitori si colloca in media intorno ai 24 anni.
Dati simili si riscontrano anche se si considera la quota di giovani italiani che vivono ancora in casa con la famiglia d’origine.
Nel 2019, in Ue a condividere lo stesso tetto con i propri genitori era circa la metà dei giovani adulti di età compresa tra i 18 e i 34 anni (50,4%); mentre in Italia tale quota raggiungeva il 69,4% (contro il 36,4% in Francia e il 41,6% in Germania): si tratta di una delle percentuali più elevate a livello europeo, allo stesso della Grecia, ma superata dalla Croazia (con il 74,5%). Al contrario, i Paesi con le percentuali più basse di giovani che vivono con i genitori sono quelli nordici e in particolare: Danimarca (17,2%), Finlandia (19,5%), Svezia (22,4%), Paesi Bassi (34,9%).
Dall’analisi dei dati, inoltre, si evince che tendenzialmente, sono soprattutto i paesi dell’Europa orientale e meridionale a registrare una permanenza più duratura dei giovani adulti nel nucleo familiare di origine.
Si tratta di una tendenza sulla quale incidono numerosi fattori, di natura economica, sociale, culturale, tra cui – come sottolinea l’analisi a cura dell’Osservatorio #Conibambini – gioca un ruolo importante sull’autonomia dei giovani anche l’inserimento in percorsi di istruzione e formazione.
I dati mostrano che si trovano più spesso nella condizione di neet – ossia i giovani che non lavorano e non sono inseriti in alcun percorso scolastico o formativo – proprio coloro che hanno un livello di istruzione inferiore. Per questo, anche l’abbandono precoce della scuola o la mancanza di formazione rappresentano fattori che possono compromettere le basi su cui poggia la possibilità dei giovani di acquisire una propria autonomia.
Non è un caso, infatti, che i Paesi dove si registrano le più alte percentuali di neet siano in genere anche quelli dove i giovani restano più a lungo a casa con i genitori.
In questo senso, è interessante mettere in luce la specificità del dato italiano relativo alla quota di neet. L’Italia, infatti, risulta essere uno dei Paesi europei con il più alto numero di neet: nel 2019 la percentuale di giovani nella fascia 15-29 anni che si trovava in questa condizione era del 22,2% (il dato più alto nell’Unione europea) e, sempre stesso anno, si rileva che ben l’85,4% dei giovani nella fascia 16-29 anni viveva con i genitori, contro una media europea del 69%.
Nel 2020, la quota di neet in Italia è ulteriormente aumentata attestandosi al 23,3%: confermando così un triste primato per il nostro Paese, con un dato superiore anche a quello della Grecia (18,7%), della Bulgaria (18,1%), della Spagna (17,3%) e della Romania (16,6%).
Considerato, quindi, l’impatto che la condizione di neet può avere sul percorso verso l’autonomia dei più giovani, è importante che tale fenomeno venga adeguatamente monitorato nel tempo, anche nella sua dimensione territoriale.
In particolare, riguardo alla distribuzione sul territorio italiano, si osserva che il fenomeno risulta particolarmente diffuso nelle regioni del mezzogiorno: nel 2020 a fronte di una media nazionale del 23,3%, la percentuale di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano raggiunge i picchi più elevati in Sicilia (37,5%), Calabria (34,6%), Campania (34,5%) e Puglia (29,4%). Viceversa, le percentuali di neet appaiono piuttosto contenute nell’Italia nord-orientale: in particolare le regioni in cui si registra un’incidenza più bassa del fenomeno sono Trentino Alto Adige (13,5%), Friuli Venezia Giulia (13,6%) e Veneto (14,7%).
In conclusione, questi dati sottolineano come, nei territori caratterizzata da una maggior incidenza del disagio, il ruolo dell’istruzione per il raggiungimento della piena autonomia dei giovani assuma ancora più rilevanza.
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