“Giovani a rischio”: l’impatto dell’esclusione e della povertà educativa sul disagio giovanile. Un’analisi di Openpolis e Con i Bambini sulla devianza sottolinea l’importanza di intervenire sul fronte della prevenzione e della riparazione

È online il nuovo report “Giovani a rischio. L’impatto del disagio tra i minori, tra bullismo, criminalità e comportamenti al limite”, realizzato da Openpolis e dall’impresa sociale Con i bambini, il quale offre un’accurata analisi dell’impatto dei comportamenti devianti sui minori, prima dell’avvento della pandemia.

Il rapporto sottolinea innanzitutto che, per bambini e ragazzi, crescere significa affrontare un processo di cambiamento, che passa attraverso le trasformazioni a livello psicofisico, lo sviluppo della propria personalità, l’ampliamento delle proprie reti sociali e amicali. Tale processo raggiunge il suo apice in specifiche fasi di transizione come quella dell’adolescenza e non è mai del tutto lineare, ma al contrario si caratterizza come un work in progress, non esente da aspetti critici o traumatici.

Tuttavia, la naturale forma di disagio, sperimentata durante il periodo adolescenziale e connaturata alla specifica fase di sviluppo, può alle volte sfociare in comportamenti antisociali, pericolosi per sé o per gli altri, quali ad esempio atti di bullismo verso i coetanei, adozione di comportamenti a rischio, fino all’ingresso nel mondo della criminalità minorile.

Le cosiddette “devianze” rappresentano un fenomeno multifattoriale, riconducibile a diverse cause. Come evidenziato nel report, tra queste è certamente possibile menzionare un contesto di deprivazione sociale, riferito a ragazzi che vivono in territori difficili o all’interno di famiglie in forte disagio economico, ma rientrano in un profilo a rischio anche giovani apparentemente senza problemi provenienti da famiglie di ceto medio e medio-alto; situazioni tra loro molto diverse ma con un unico comun denominatore: la fragilità dei legami sociali e famigliari.

Di qui, si comprende il fondamentale ruolo della comunità educante sul territorio quale fattore cruciale di contenimento di tali fenomeni, che si nutrono proprio della carenza di senso di comunità, di rispetto verso sé stessi e gli altri, di modelli educativi.

Quest’ultima consapevolezza è emersa in maniera ancora più evidente nell’attuale contesto segnato dall’emergenza sanitaria, la quale, tra i diversi risvolti, ha portato ad una sottrazione di luoghi che per molti minori rappresentano l’unica alternativa alla strada o a situazioni familiari difficili.

Non solo: proprio a fronte delle considerazioni richiamate, preoccupa anche il fatto che con la pandemia, la povertà è andata aggravandosi: nel 2020 la quota di minori in povertà assoluta ha raggiunto il 13,5%, registrando il valore più elevato dal 2005.

Un altro aspetto evidenziato, infatti, è il forte collegamento con la povertà educativa, poiché l’uscita precoce da percorsi di formazione ed istruzione può contribuire ad alimentare la marginalità sociale, ma anche perché i comportamenti a rischio, proprio come la povertà educativa, rappresentano spesso fattori di esclusione ed emarginazione.

Nell’analisi elaborata da Con i Bambini e Openpolis, si sottolinea che proprio nella mancanza di reti sociali e familiari e nel progressivo allontanamento dai presidi educativi (fenomeni di dispersione e abbandono) si creano le condizioni favorevoli per i comportamenti criminali o a rischio.

Per arginare tali fenomeni, allora, occorre intervenire su due fronti: preventivo e riparativo.

Sotto il profilo della prevenzione, diviene fondamentale valorizzare il ruolo della scuola e delle comunità educanti, a partire da un investimento educativo contro l’abbandono scolastico, ma soprattutto rafforzare sul territorio la rete di centri e luoghi di aggregazione per bambini e ragazzi, dove incontrarsi, studiare, partecipare a laboratori ed iniziative culturali, praticare attività sportive o extra-scolastiche. Proprio la presenza di centri di aggregazione costituisce una delle principali risorse per contrastare la criminalità giovanile e i comportamenti a rischio.

Oltre a questo, l’altro aspetto su cui intervenire è quello della giustizia riparativa e di comunità.

Con il termine “giustizia riparativa” si intende un percorso dove l’autore del reato, entrando in relazione con la vittima, è stimolato a riflettere non solo sulla violazione di una norma, ma sugli effetti che le sue azioni hanno prodotto su altre persone; mentre la giustizia di comunità riguarda le modalità di riparazione del reato e permette di affiancare alle restrizioni alla libertà conseguenti alla condanna anche attività “riparative” nei confronti della comunità, socialmente utili.

Per i minori questo tipo di approccio può assumere importanti riflessi educativi, pedagogici e sociali, in primis per il nuovo significato attribuito al reato, inteso non più solo come violazione normativa, bensì come causa di sofferenza per la vittima, e in secondo luogo perché il minore viene stimolato ad una presa di coscienza delle conseguenze del reato, compiendo così il primo passo di un percorso volto a ricucire i legami lacerati con la società.

A seguito di questa prima analisi, il report dedica i capitoli successivi ad approfondire tre diversi temi: la criminalità minorile e i reati che più frequentemente vedono coinvolti bambini e ragazzi, sia in qualità di autori che come vittime; il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo; i comportamenti a rischio tra i minori, in particolare quelli più spesso correlati con atteggiamenti violenti, come l’abuso di droghe e alcol.

Tra gli aspetti riportati nel rapporto in merito alla criminalità minorile, si evidenzia che in Italia, al 15 aprile 2021, sono oltre 13mila i minori e giovani adulti fino ai 25 anni in carico ai servizi della giustizia minorile, di cui solo una minoranza residuale si trova in stato di detenzione, mentre la maggior parte è in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni (Ussm), una modalità che consente di adottare un progetto educativo costruito ad hoc sulle esigenze e la personalità del minore.

Inoltre, si legge nel report che ogni anno sono circa 30mila le segnalazioni per reati commessi da minorenni. Tra le denunce a carico dei minori si osserva una netta prevalenza del genere maschile (l’85,3%). Per quanto riguarda invece i reati più frequenti commessi da minori, si riscontrano furti – che coinvolgono il 27,9% dei denunciati con meno di 14 anni e il 24,9% nella fascia 14-17 anni – e danneggiamenti – il 16,9% degli under 14 e il 7,8% dei giovani tra 14 e 17 anni.

Di fronte a questi dati, il messaggio sottolineato nel rapporto è chiaro ed emerge con forza: considerare tutte queste persone come irrecuperabili, non lavorare in ottica riparativa, è la premessa per produrre nuova criminalità in futuro.

Per maggiori approfondimenti si rimanda all’articolo sul sito di Openpolis.

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