20 novembre 2021 ricorre il 32° anniversario della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. La condizione dei minori nel post-Covid tra diseguaglianze e aumento della povertà

Il 20 novembre si celebra la Giornata mondiale dei diritti dei bambini e degli adolescenti e quest’anno ricorre il 32° anniversario della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia il 27 maggio 1991 con la legge n. 176.

Si tratta documento di assoluta importanza, poiché rappresenta il primo strumento giuridico a carattere vincolante in materia di diritti delle persone di minore età, nonché lo strumento che ha racchiuso in un unico trattato i diritti civili, sociali, politici, economici e culturali e quindi il riconoscimento di tutta la vasta gamma dei diritti necessari per garantire il benessere dei bambini.

Ma soprattutto, la Convenzione ha operato una trasformazione epocale nella considerazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, elevando la persona di minore età da oggetto di protezione a soggetto titolare di diritti, determinando così una rottura con il passato e gettando solide basi per costruire una “nuova” identità del minorenne, quale soggetto di diritto, attivo, partecipe.

La Convenzione ha inciso sulla coscienza collettiva, accentuando la sensibilità nei confronti della persona minore di età, riconoscendole i fondamentali diritti dell’essere umano e una tutela particolare.

È anche grazie alla Convenzione che oggi parliamo di “promozione” dei diritti dei minori e si è in grado di porre le persone di minore età al centro del pensiero politico e della società.  

Quest’anno si vuole riportare all’attenzione il fatto che, ormai da diversi anni, l’Italia non è un “Paese per bambini” e dopo qualche decennio di lento declino, sembra persino diventato un Paese in cui l’infanzia è “a rischio estinzione”.

A lanciare l’allarme è Save the Children, che con la XII^ edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio in Italia, traccia una panoramica sulla condizione dei minori nel 2020, tenendo conto dell’impatto del COVID-19 ed evidenziando le sfide più urgenti da affrontare per un futuro senza più disuguaglianze.

In particolare, la fotografia scattata dall’Atlante è quella di un’Italia che invecchia rapidamente, colpita da un forte calo della natalità e in cui il numero dei minori in povertà continua ad espandersi vertiginosamente.

Secondo i dati contenuti nel rapporto, nel nostro Paese, negli ultimi 15 anni, la popolazione di under 18 è diminuita di circa 600mila unità e nello stesso arco temporale la povertà assoluta è aumentata notevolmente, raggiungendo la quota di un milione di bambini e ragazzi in più che si trovano in condizione di miseria assoluta, senza lo stretto necessario per vivere dignitosamente.

Così, negli ultimi 15 anni la povertà assoluta ha visto un continuo incremento: un lieve miglioramento si è registrato solo nel 2019, grazie all’entrata in vigore del reddito di cittadinanza, ma nel 2020, con la crisi scatenata dalla pandemia, la povertà assoluta è tornata a crescere, raggiungendo il valore più elevato dal 2005.

Precisamente, nell’anno della pandemia, i minori in povertà assoluta hanno toccato la cifra record di 1 milione e 336mila (con un’incidenza pari al 13,5%), ben 200mila in più rispetto all’anno precedente: si tratta di una vera e propria emergenza, con un minore su 7 che nel nostro Paese non ha accesso a beni e servizi essenziali.

«Un debito demografico, economico e soprattutto un debito di investimento nelle generazioni più giovani, che ha travolto tutto il Paese: tra il 2010 e il 2016 – denuncia l’Atlante – la spesa per l’istruzione in Italia è stata tagliata di mezzo punto di Pil e si è risparmiato anche sui servizi alla prima infanzia, le mense e il tempo pieno, lasciando che, allo scoppio della pandemia, i divari e le disuguaglianze di opportunità spianassero la strada ad una crisi educativa senza precedenti».

Le conseguenze, come rivelano i dati, sono purtroppo drammatiche: basti pensare alla quota di Early leavers from education and training – ossia di giovani nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni – che ha raggiunto il 13,1%, contro una media europea del 9,9% o al tasso di NEET – giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in alcun percorso di formazione – che si è attestato al 23,3%, a fronte di una media europea del 13,7%, ed è il più alto in Europa. Dati che continuano a penalizzare fortemente l’Italia, ponendola in una posizione di retroguardia rispetto alla media europea.

L’Atlante, inoltre, mostra che le diseguaglianze e la povertà educativa condizionano la vita dei minori sin dalla primissima infanzia: in Italia solo il 14,7% dei bambini nella fascia 0-2 anni – ossia uno 1 su 7 – usufruisce di asili nido o servizi integrativi per l’infanzia finanziati dai Comuni. Un dato ancora troppo esiguo, dietro al quale si celano enormi divari nell’offerta territoriale: ad esempio se in Calabria solo il 3,1% dei bambini ha accesso al nido e in Campania il 4%, nella provincia di Trento questa stessa opportunità è offerta al 30,4% dei bambini e in Emilia Romagna al 28,7%.

Tuttavia, le disuguaglianze continuano a persistere anche con il crescere dell’età.

In Italia, nella scuola primaria pubblica, il 73,7% degli studenti non frequenta la scuola a tempo pienoaccumulando così alla fine di questo specifico ciclo di istruzione, un anno di scuola in meno rispetto a chi fruisce del tempo pieno. Non si tratta, però, solo di una questione legata alla quantità. Trascorrere buona parte della giornata in un ambiente scolastico positivo e di qualità, dove poter far laboratori o praticare attività sportiva rappresenta, infatti, il miglior modo per combattere la povertà educativa e aiutare i bambini a sviluppare il proprio potenziale.

Anche l’offerta territoriale del tempo pieno a scuola presenta notevoli disparità: la provincia di Milano si trova in testa, con una copertura del 95,8% delle classi, mentre Ragusa è fanalino di coda, con appena il 4,5% di copertura.

Oltre al tempo pieno, importanti diseguaglianze riguardano anche l’accesso alle mense scolastiche. Garantire la mensa scolastica vuol dire investire nella lotta alla povertà materiale, educativa e alimentare dei più piccoli. Tuttavia, nella scuola primaria pubblica solo il 56% dei bambini frequenta la mensa almeno qualche giorno a settimana, con importanti differenze: se nelle province di Milano, Firenze, Bologna e Genova il servizio è garantito per più del 90% dei bambini, in Sicilia solo il 5-10% ha accesso alla mensa.

Sul fronte dell’istruzione, dall’analisi degli ultimi test Invalsi emergono anche cali dell’apprendimento su cui ha certamente influito il lungo periodo di chiusura delle scuole dettato dall’emergenza pandemica.

Nell’ultimo anno delle scuole superiori, la dispersione implicita – ovvero il mancato raggiungimento del livello sufficiente in italiano, matematica e inglese – è salita al 9,5% su base nazionale. Questo significa che quasi 1 studente su 10, pur non essendo formalmente disperso, è uscito dalla scuola senza le competenze fondamentali e, quindi con il forte rischio di non avere prospettive di inserimento nella società così diverse da chi non ha invece portato a termine la scuola secondaria di secondo grado.

Anche rispetto alla dispersione implicita, si osservano, però, significative variazioni su scala regionale: nel Nord solo il 2,6% dei diplomandi è risultato in dispersione implicita, al Centro l’8,8%, e nel Mezzogiorno il 14,8%.

I dati INVALSI, inoltre, hanno mostrato che se la crisi ha colpito e messo a dura prova tutti gli studenti, a subire le conseguenze più gravi sono stati soprattutto i bambini e i ragazzi che già vivevano in una condizione di svantaggio, i quali hanno sperimentato maggiori difficoltà nel seguire la didattica a distanza a causa della mancanza di strumenti, di condizioni idonee e di supporto in casa. A conferma di ciò, i punteggi medi dei test in italiano e matematica hanno rilevato risultati decisamente peggiori per ragazzi provenienti da famiglie di livello socio-economico basso o medio basso.

Il quadro complessivo che emerge dai dati finora citati racconta di una realtà profondamente segnata da diseguaglianze educative, sociali, economiche e geografiche, che anche a seguito della pandemia appaiono sempre più marcate, e dove le opportunità di sviluppo variano molto in base al luogo in cui si cresce.

Di fronte alle grandi sfide cui siamo chiamati a rispondere in questo momento storico, le conclusioni del Prof. Avv. Andrea Farina – Coordinatore dell’Osservatorio Salesiano per i Diritti dei Minori – richiamano alla necessità di proporre nuove strategie e politiche che mettano al centro le nuove generazioni, affinché abbiano un futuro più equo e sicuro.

«Mai come oggi, diviene urgente imprimere una decisiva inversione di rotta, prevedendo un investimento serio, concreto e complessivo sull’infanzia, teso innanzitutto a rafforzare i territori maggiormente svantaggi, e assumendo uno sguardo olistico nella progettazione delle politiche, che metta al primo posto i diritti di tutti i bambini e le bambine» dichiara il prof. Farina.

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