Il lavoro minorile costituisce una piaga presente in tutto il mondo, che mette a repentaglio i diritti fondamentali di bambine, bambini e adolescenti: secondo i dati di ILO e Unicef, nel 2020 a livello globale circa 160 milioni di bambine, bambini e adolescenti tra i 7 e i 15 anni hanno lavorato e di questi 79 milioni hanno svolto lavori pericolosi, in grado di danneggiare la salute e lo sviluppo psicofisico e morale.
Il lavoro minorile rappresenta un fenomeno ampiamente diffuso, ma che rimane in larga parte sommerso e da cui neppure il nostro Paese è esente, con conseguenze negative per lo sviluppo e l’educazione dei più piccoli.
In Italia, si stima siano 336 mila i minorenni di età compresa tra i 7 e i 15 anni che hanno avuto esperienze di lavoro continuative, saltuarie o occasionali, prima dell’età legale consentita (fissata secondo la legge italiana a 16 anni). Si tratta di quasi 1 minore su 15, pari al 6,8% della popolazione di riferimento.
Il dato proviene da una nuova indagine nazionale sul lavoro minorile in Italia intitolata “Non è un gioco” e promossa da Save the Children. L’indagine, condotta a distanza di dieci anni dalla precedente, si pone l’obiettivo di definire i contorni del fenomeno, comprenderne le caratteristiche, l’evoluzione nel tempo e le connessioni con la dispersione scolastica, cercando di sopperire alla mancanza di una rilevazione statistica sistemica di dati sul tema all’interno del nostro Paese.
Secondo le stime riportate nello studio, quasi un ragazzo di 14-15 anni su cinque svolge o ha svolto un’attività lavorativa prima dell’età legale consentita. Tra questi, ben il 27,8% (circa 58mila adolescenti), è stato coinvolto in lavori particolarmente dannosi per i percorsi educativi e per il benessere psicofisico, poiché svolti in maniera continuativa durante il periodo scolastico, in orari notturni o perché percepiti dagli stessi come pericolosi.
I settori maggiormente interessati dal fenomeno sono: la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%); seguono le attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%) e le attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%). Tuttavia, emergono anche nuove forme di lavoro online (5,7%), quali la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o ancora il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche.
Nel periodo in cui lavorano, oltre la metà degli intervistati lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana e circa uno su due per più di 4 ore al giorno.
Quanto ai principali motivi che spingono ragazzi e ragazze ad intraprendere percorsi lavorativi, vi sono: l’avere soldi per sé (citato dal 56,3%) e la necessità o volontà di offrire un aiuto materiale ai genitori (per il 32,6%). Occorre, però, sottolineare che vi è anche una percentuale non trascurabile – pari al 38,5% – che dichiara di lavorare per il piacere di farlo.
Lo studio mette, inoltre, in risalto un’associazione tra il lavoro minorile e il basso livello di istruzione dei genitori (in particolare della madre): la percentuale di genitori senza alcun titolo di studio o solo con la licenza elementare o media è infatti significativamente più elevata tra gli adolescenti che hanno avuto esperienze di lavoro. “Un dato che deve far riflettere sulla trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione” sottolinea Save the Children.
Secondo l’indagine, la maggioranza dei minorenni (il 53,8%) che riferisce di aver lavorato durante l’ultimo anno o in passato, ha iniziato dopo i 13 anni, mentre il 6,6% addirittura prima degli 11 anni.
Circa due terzi dei minorenni che hanno sperimentato forme di lavoro sono di genere maschile (il 65,4%) e il 5,7% ha un background migratorio.
Dalla ricerca si evince anche una relazione positiva tra lavoro minorile e dispersione scolastica. Oltre ai pericoli per la salute e il benessere psicofisico, i minorenni che iniziano a lavorare prima dell’età legale consentita, rischiano infatti di vedere compromessi i loro percorsi educativi, di apprendimento e di sviluppo, alimentando notevolmente il circolo vizioso di povertà ed esclusione, anche in età adulta.
A tal proposito, in base a quanto riportato dall’indagine, si evidenzia che tra i 14-15enni intervistati che lavorano, quasi 1 su 3 (il 29,9%) lo fa durante i giorni di scuola, tra questi il 4,9% salta le lezioni per lavorare. Inoltre, i dati rivelano che la percentuale di minorenni che sono stati bocciati durante la scuola secondaria di I o di II grado è quasi doppia tra coloro che hanno lavorato prima dei 16 anni rispetto ai coetanei che non hanno mai lavorato.
Il lavoro minorile può anche influenzare la condizione futura di giovani ‘NEET’ (Not in Education, Employment, or Training), incentivando la trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione sociale: in Italia, nel 2022, si trovavano in questa condizione più di 1 milione e 500mila giovani tra i 15 e i 19 anni; un valore in Europa secondo solo a quello della Romania.
“Per molti ragazzi e ragazze in Italia l’ingresso troppo precoce nel mondo del lavoro, prima dell’età consentita, incide negativamente sulla crescita e sulla continuità educativa, alimentando il fenomeno della dispersione scolastica. Sono ragazzi che rischiano di rimanere ingabbiati nel circolo vizioso della povertà educativa, bloccando di fatto le aspirazioni per il futuro, anche sul piano della formazione e dello sviluppo professionale, con pesanti ricadute anche sull’età adulta” ha dichiarato Claudio Tesauro, Presidente di Save the Children.
Infine, la ricerca propone anche un focus dedicato ai minori coinvolti nel circuito di giustizia minorile. Esaminando la relazione tra lavoro e giustizia minorile, dallo studio emerge un forte legame tra esperienze lavorative precoci e coinvolgimento nel circuito penale: quasi il 40% dei minori e giovani adulti presi in carico dai Servizi della Giustizia Minorile – più di uno su tre – ha affermato di aver svolto attività lavorative prima dell’età legale consentita. Tra questi, più di un minore su dieci ha iniziato a lavorare all’età di 11 anni o prima e più del 60% ha svolto attività lavorative dannose per lo sviluppo e il benessere psicofisico.
Tra i minori coinvolti nel circuito della giustizia si osserva anche un altissimo tasso di dispersione scolastica, con frequenti casi di abbandono precoce della scuola o percorsi di insuccesso scolastico che si traducono in elevate assenze e bocciature.
Per approfondimenti si rimanda sul sito di Save the Children al comunicato stampa dedicato. Il rapporto completo è disponibile nella sezione “Pubblicazioni“.
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